Cyberbullismo, flaming, cyberstalking, hate speech e body shaming: dategli un nome e la scuola potrà comunque rispondere “presente!”.
Sembra che il progresso tecnologico, insieme alla cosiddetta DAD, alla flipped classroom, alla didattica integrata, abbia portato con sé una consistente impennata dell’aggressività, favorita da contesti dove l’identità è più facilmente celabile, e l’ego può trovare spazi per dilagare oltre il rispetto altrui, in forma violenta, arrogante, spietata.
La survey che EducazioneDigitale.it ha portato avanti per un intero anno tra studenti e docenti della community che gravita attorno alla piattaforma, voleva espressamente muoversi in questo contesto, provando a saggiare “in punta di piedi” l’orientamento di pensiero, quello che definiremmo modernamente “il sentiment” che queste categorie sociali e professionali in prima linea manifestano circa i fenomeni di prevaricazione ed aggressività perpetrati negli ecosistemi digitali.
I docenti che hanno collaborato a questa survey sono in prevalenza di sesso femminile: certamente non vogliamo tracciare linee di confine troppo marcate per quanto attiene alla sensibilità di genere verso queste devianze, tuttavia si tratta di un rilevante dato demografico, che conta per un 80%, contro il 20% di insegnanti maschi. Se analizziamo la distribuzione della community di EducazioneDigitale.it sullo stesso indicatore, questo dato diventa però molto più interessante; i professionisti della didattica che sono iscritti alla piattaforma EducazioneDigitale.it infatti, pur essendo in maggior parte donne (60,65%), non hanno un rapporto tanto sbilanciato: in questo caso, pertanto, potremmo evincere che la volontà di dire la propria opinione e di dare un contributo su questa particolare tematica, abbia coinvolto in modo preponderante le insegnanti, e lasciato più indifferenti i colleghi uomini.
L’audience che ha risposto alle domande, in ogni caso, è un pubblico ben informato sul perimetro fondante del cyberbullismo, che non minimizza o marginalizza la fenomenologia di queste azioni lesive: le risposte che descrivevano il bullismo digitale nella maniera più scientificamente corretta sono state infatti quelle che hanno raggiunto gli score più elevati.
Da queste risposte potremmo andare a disegnare una specie di wordcloud attorno alla tematica di indagine, che evidenzia termini chiave quali: immagini e video, odio e pregiudizio, media e post, internet e social.
Nello specifico, il cyberbullismo viene definito meglio dal postare sui social immagini o video imbarazzanti senza alcun permesso dell’interessata/o (23.5%), incitare all’odio o al pregiudizio verso qualcuno con i social media (15,4%), prendere in giro qualcuno con mezzi informatici (14,9%), ed infine minacciare attraverso messaggi di testo, e-mail, o in chat (14,9%). Si tratta indubbiamente di un quadro completo (alla domanda era possibile rispondere con tre opzioni) al quale forse manca solo la componente legata alla fattispecie, anche legalmente definita, della molestia: l’opzione che la includeva infatti, ha ricevuto scarso interesse, con un 8.4% di favori espressi.
Oltre la metà del campione (54.5%) ha sentito parlare di episodi di cyberbullismo che sono avvenuti proprio nel contesto professionale dove opera, confermando una certa diffusione del fenomeno, che rispecchia anche le rilevazioni effettuate da istituti scientifici a livello internazionale e nazionale. L’allarme non arriva solamente dalla dimensione estensiva degli eventi di bullismo digitale, ma anche dalla preoccupazione per le reali conseguenze sulla persona che i docenti hanno manifestato con fermezza: oltre il 68% considera il cyberbullismo più pericoloso del suo equivalente “in presenza”.
Questo allarme denota certamente la particolare sensibilità di chi vive la scuola, di chi passa il tempo nelle aule, nei corridoi, nelle palestre e nei cortili degli istituti; ma anche di chi spesso sale sugli stessi mezzi pubblici, frequenta le medesime affollate fermate dei bus, e di chi cammina sulle stesse strade che “accompagnano” gli studenti a scuola. Con questa risposta gli insegnanti hanno voluto implicitamente sottolineare che questo tipo di bullismo è trasversale, che comincia nel web ma che poi si dirama in luoghi e non-luoghi della vita studentesca, minando relazioni e personalità che di virtuale non hanno a quel punto più nulla.
La consapevolezza di chi con la scuola ci lavora è anche quella di chi sa perfettamente che, di fronte a queste pratiche, le sue armi sono spuntate: con bulli celati all’interno di chat, commenti, e profili, diventa sempre più arduo contribuire ad una relazione equilibrata fra i pari, perché di questa si intravede solamente una cresta, come un grande iceberg che affiora di qualche centimetro nel reale, sopra un magazzino relazionale ignoto, chiuso nelle dinamiche dei network.
Questa è anche la natura della preoccupazione che traspare dalle risposte successive; in primis quella che si riferisce alla frequenza con la quale, secondo le prof ed i prof, la violenza ha luogo (almeno nella sua fase iniziale) con mezzi telematici: oltre il 92% ritiene che la dinamica di innesco prevalente sia proprio questa.
Il quadro di attenzione e di angoscia che gli insegnanti esprimono è chiaramente delineato dalle espressioni che, fra le 14 opzioni proposte, hanno maggiormente selezionato quali più vicine alla loro esperienza del cyberbullismo: ne elenchiamo 6, quelle che hanno concentrato le distribuzioni di risposta più consistenti.
- Il cyberbullismo secondo me è peggio del bullismo fisico (21.4%)
- Nella mia scuola sono accaduti episodi di cyberbullismo (15%)
- Fra studenti su queste cose regna l’omertà (14%)
- Nelle mie classi è capitato che si facessero circolare foto o video di studenti a loro insaputa (11.6%)
- Il cyberbullismo implica sempre la presenza di un gruppo di “bulli” (10.3%)
- I miei studenti sono stati vittime di bullismo online almeno una volta (9.3%)
Da questo elenco, la parola che risuona più forte, e certamente con un tono cupo e fastidioso quando associata a giovani adolescenti, è “omertà”. Questo termine indica purtroppo un ingrediente centrale di una peculiare condotta deviante, di un complesso di azioni portate avanti contando su un tessuto che è già negativamente recettivo, un microcosmo dove esistono regole non scritte capaci di intimidire, di accecare e di togliere la parola a chi potrebbe trovare il coraggio di denunciare.
Proprio su questo flusso comunicativo, prima di confessione, poi di denuncia, vertevano le domande immediatamente successive della ricerca di EducazioneDigitale.it: la prima saggiava la propensione di ragazze e ragazzi a trovare nei loro insegnanti delle figure di riferimento, in particolare per ciò che attiene il confidarsi, il condividere apertamente.
I professionisti dell’educazione sono un punto di contatto importante tra gli studenti e le loro paure: se sommiamo chi confessa al docente episodi accaduti alla propria persona, e chi invece dice di confidare situazioni che coinvolgono altri, raggiungiamo il 52,2%.
Ma … perché non si confessa, o peggio non si denuncia?
L’omertà di cui si parlava prima affiora ancora, delineando il profilo della vittima: il 59.1% degli insegnanti raggiunti dalla survey ha la sensazione che ci sia molta “vergogna”, ma il 35.1% sottolinea come sia forte la paura di ritorsioni anche gravi.
Ai docenti abbiamo anche chiesto di esprimersi su come possa essere possibile fermare il cyberbullismo, ed è interessante constatare come, nella loro opinione, emerga una generalizzata necessità di sensibilizzazione ad ogni livello (33.9%), ed un ruolo centrale delle famiglie, alle quali andrebbero indirizzate precise azioni educative (29.3%).
La famiglia ricompare all’interno della triade dei soggetti che i docenti credono possano essere più efficaci nel contrastare il cyberbullismo (24.5%), insieme alla scuola (21%) e alle forze dell’ordine (29,8%), anche se ci sono dubbi su una reale necessità da parte di queste ultime di tenere d’occhio gli istituti scolastici, esercitando una vigilanza più serrata (solo il 3.4% sarebbe favorevole a questa soluzione).
Per il 70% degli intervistati, internet ed i social media sono ambiti che necessitano di un monitoraggio particolarmente forte a tutti i livelli, un dato che vorremmo poter collegare ad una nostra visione del digitale finalizzato alla didattica: EducazioneDigitale.it infatti, crede che anche presidiando il digitale con valori educativi e linguaggi appropriati lo si possa controllare con più efficacia, contribuendo a sollevare una cortina di ambiguità che troppo spesso lo caratterizza.
I docenti hanno confermato che gli studenti possono sentirsi al sicuro su internet, solo su una rete che coltiva la sicurezza, l’inclusione e la trasparenza come valori; gli insegnanti (e con loro EducazioneDigitale.it) credono assolutamente necessario gettare un ponte fra scuola, web, e realtà familiari: un ponte da costruire, consolidare e percorrere insieme.